Retribuzioni convenzionali: quando si applicano
Per i lavoratori dipendenti che lavorano all’estero, al verificarsi di determinate condizioni, la normativa interna consente di tassare in luogo del reddito di lavoro subordinato effettivamente percepito le c.d. "retribuzioni convenzionali", generalmente, inferiori al reddito effettivamente percepito.
Le retribuzioni convenzionali si applicano a condizione che:
→ il lavoratore dipendente sia fiscalmente residente in Italia;
→ vi sia svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa;
→ il lavoro sia oggetto esclusivo del rapporto;
→ il lavoratore soggiorni all’estero per un periodo superiore a 183 giorni.
Qualora una delle suddette condizioni non sia verificata non potrà trovare applicazione la retribuzione Convenzionale ma la tassazione avverrà sul reddito effettivamente percepito.
Le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che prestano attività di lavoro subordinato in un paese estero sono tenute, in via generale, a dichiarare tali redditi anche in Italia, sempreché le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con il paese estero in cui viene effettivamente svolta l’attività lavorativa non preservino la potestà impositiva esclusiva allo Stato in cui tale attività viene svolta.
Una volta stabilita l’imponibilità in Italia del reddito da lavoro subordinato prestato in un paese estero, è necessario individuare le modalità di calcolo dell’imponibile.
Le regole da seguire sono identiche a quelle previste per i redditi di lavoro subordinato prestato in Italia e sono dettate dall’art. 51, co. 1-8,D.P.R. 917/1986.
L'art. 51, co. 8-bis, D.P.R. 917/1986 stabilisce che "in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale di cui all'articolo 4, comma 1, del D.L. 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 ottobre 1987, n. 398".
La citata disposizione prevede, in sintesi, una norma “agevolativa” che consente, al verificarsi di determinate condizioni, di tassare in luogo del reddito di lavoro subordinato effettivamente percepito le c.d.. "retribuzioni convenzionali", generalmente, inferiori al reddito effettivamente percepito.
Al riguardo, va in primo luogo precisato che la nuova normativa si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, in base all’articolo 2 del TUIR continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia.
Si ricorda che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti:
→ le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
→ le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del Codice civile;
→ le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la residenza ai sensi del Codice civile.
Resta fermo, comunque, che la normativa non troverà applicazione, qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero. In questo caso la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne.
Affinché operi la disciplina in commento è necessario che venga stipulato uno specifico contratto che preveda l’esecuzione della prestazione in via esclusiva all’estero e che il dipendente venga collocato in un ruolo speciale estero. In altri termini, l'esecuzione della prestazione lavorativa deve essere integralmente svolta all'estero. Da ciò si deduce che tale normativa non si applica ai dipendenti in trasferta, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero, derivante da un contratto specifico.
La disposizione in commento stabilisce che, ai fini della determinazione della base imponibile relativa all’attività prestata all’estero, debba essere considerata una retribuzione convenzionale, senza tener conto dei compensi effettivamente erogati.
Visto che le normativa non ammette eccezioni, non si potrà optare per la tassazione ordinaria (reddito effettivamente percepito) nel caso in cui si presti lavoro all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto.
Il procedimento per l’individuazione della retribuzione convenzionale da sottoporre a tassazione è il seguente:
- individuare il proprio settore di attività;
- individuare la propria fascia di reddito; in relazione ai lavoratori per i quali sono previste fasce di reddito, la retribuzione convenzionale imponibile è determinata “sulla base del raffronto con la fascia di retribuzione nazionale corrispondente” Al riguardo, si richiama il parere a suo tempo espresso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (v. Circolare n. 72 del 21 marzo 1990) secondo cui, ai fini dell’attuazione della disposizione relativa alle fasce di retribuzione, per “retribuzione nazionale” deve intendersi il trattamento previsto per il lavoratore dal contratto collettivo, “comprensivo degli emolumenti riconosciuti per accordo tra le parti”, con esclusione dell’indennità estero;
- individuare la retribuzione convenzionale; l’importo così calcolato (deve poi essere diviso per dodici nel caso siano previste fasce di reddito) e, raffrontando il risultato del calcolo con le tabelle del settore corrispondente, deve essere individuata la fascia retributiva da prendere a riferimento ai fini degli adempimenti contributivi e dichiarativi.
Nel caso in cui il rapporto di lavoro sia svolto a tempo parziale, la retribuzione convenzionale dovrà essere ridotta proporzionalmente all’orario di lavoro (C.M. 72/E/1990).
Per l’effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all’estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni:
→ il periodo di ferie;
→ le festività;
→ i riposi settimanali;
→ gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.
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